L'influenza della filosofia di Kant e di Schelling nell'opera di Oersted


Danilo Saccoccioni








All'inizio del XIX secolo lo stato delle conoscenze in materia di Elettromagnetismo era piuttosto frammentario: elettrostatica, galvanismo e magnetismo erano settori separati, indagati senza l'individuazione di correlazioni e dipendenze reciproche. Il mondo scientifico di allora disputava su interpretazioni di Filosofia naturale dividendosi tra posizioni meccanicistiche e posizioni dinamistiche. La tradizione meccanicistica, allora dominante, faceva capo alla scuola di Laplace e interpretava i fenomeni naturali facendo riferimento ad una materia composta da atomi impenetrabili tra i quali agiscono forze centrali a distanza. Oersted era invece un convinto sostenitore della posizione dinamistica e la sua produzione scientifica fu non poco segnata dal pregiudizio epistemologico, sia in bene sia in male, come vedremo nel presente scritto.

Per giustificare l'opera scientifica di Oersted non si può prescindere dal pensiero di quei filosofi che ne furono gli ispiratori: Kant, Fichte e Schelling. Dopo una formazione giovanile da farmacista, elaborò una tesi di dottorato in Filosofia su un'opera kantiana del 1796, Principi metafisici della scienza della natura. In tale scritto Kant riconobbe la necessità della sostituzione di una concezione dinamistica della natura a quella puramente matematica o meccanica. Contrariamente a quest'ultima, infatti, l'applicazione della Matematica allo studio della natura richiedeva, secondo Kant, la necessità di ammettere che la materia fosse costituita non da atomi separati da spazi vuoti, ma da forze in rapporto reciproco di azione e reazione. Schelling, tuttavia, pur rimanendo fedele sostanzialmente a questa idea di fondo, proprio per concepire la materia secondo i principi newtoniani di attrazione e di repulsione, individuò un principio anche per l'origine delle forze:


quel principio unitario da cui scaturisce la vita e che Fichte aveva inteso come opposizione tra Io e Non-io. Prende corpo così l'idea di un completo parallelismo tra natura e coscienza, nel senso che allo sviluppo di forme sempre più alte e complesse di coscienza corrisponde il «potenziamento» della natura, ossia il riprodursi del rapporto di «polarità» tra le forze contrapposte a livelli e in forme sempre più alti e complessi, dall'unità del cosmo al meccanismo universale, per giungere infine all'organismo. Meccanismo e organismo non sono dunque più due termini contrapposti o due principi alternativi nella concezione della natura, bensì rientrano in un processo teleologico unitario [...].1


Oersted divenne sostenitore della Naturphilosophie di Schelling, rifiutando ogni ipotesi meccanicistica e assumendo come strumento conoscitivo delle osservazioni empiriche il contributo a priori della mente umana a fondamento della universalità delle leggi fisiche. A questo punto è importante una nota critica epistemologica: il trascendentalismo di matrice kantiana non riesce a fondare l'intenzionalità della conoscenza umana. Non è questa la sede per dimostrare ciò; qui basti osservare che le categorie kantiane possono svolgere una semplice azione formale sui dati sensibili, al contrario di quanto avviene in modo corretto ad esempio nell'epistemologia di matrice aristotelico-tomista, dove invece la forma logica del giudizio non è a priori, ma ottenuta attraverso un processo di astrazione dell'universale e di adeguazione reciproca soggetto-predicato. Oggi nella stessa Logica dei predicati risulta evidente, come conseguenza dei teoremi di Goedel, che la mente umana è costretta a semantizzare, cioè a riconoscere ciò che c'è di vero in un modello, non semplicemente a costruirlo. Oersted, purtroppo, e con lui una lunghissima tradizione che arriva fino ad oggi nelle università, si trovò invischiato in questo pregiudizio epistemologico che, con tutti i suoi limiti, fu tuttavia assunto con tale vigore da spingerlo in una attiva ricerca verso scoperte poi dimostratesi fondamentali ai fini dell'unificazione dei fenomeni elettrostatici, galvanici e magnetici. Va precisato, comunque, che, fin dal 1803, anno in cui a Parigi espose con Ritter alcuni risultati sul galvanismo, le interpretazioni teoriche che proponeva, tutte impregnate di Naturphilosophie, furono respinte nel clima generale di meccanicismo diffuso nella città.

Un esempio di come Oersted proponeva azzardate interpretazioni nell'indagine fisica è quello relativo all'esposizione della sua teoria della pila voltaica, la quale fu oggetto e strumento di ricerca nel mondo scientifico per molti anni a partire dalla scoperta di Volta del 1800. Per Oersted l'elettricità galvanica era una specie di “oscillazione dinamica” o moto ondulatorio polarizzante:


Sappiamo che la forza che viene trasmessa attrae la sua opposta, mentre respinge la forza dello stesso tipo. Quando la forza attratta ha raggiunto una certa intensità essa si ricombina con una certa porzione della forza attraente, lasciando la forza respinta in uno stato ancora più perfetto di libertà. Questa forza produce una nuova distribuzione mediante la sua facoltà attrattiva e repulsiva e, un momento dopo, si raggiunge un nuovo equilibrio come il primo e così via. [...]. Tutto ciò che è stato detto finora sull'elettricità si deve ugualmente applicare al magnetismo. L'azione di un magnete comincia con una polarizzazione e deve di conseguenza comunicarsi come un moto ondulatorio come per l'elettricità.2


La citazione mostra con una certa evidenza il tentativo di unificazione dei fenomeni elettromagnetici e lascia trasparire, in quella facoltà attrattiva e repulsiva della forza, in quell'equilibrio e in quello stato perfetto di libertà, un'unificazione ben più generale:


A partire da Schelling la filosofia della natura, non distinguibile nei secoli precedenti dalla scienza naturale, viene a indicare una riflessione sulla natura che intende penetrare i sensi profondi e la verità speculativa. Ispirandosi a motivi panteistici tratti da Bruno e da Spinoza e interpretando liberamente i fenomeni dell'elettromagnetismo allora scoperti, Schelling intende la natura e lo spirito come due aspetti congruenti e paralleli dell'assoluto.3


In questo quadro è chiaro il significato profondo in termini interpretativi che bisogna attribuire all'espressione di Oersted: “Tutte le forze in natura si possono ridurre a queste due”.

Malgrado i tentativi sperimentali avviati fin dal 1807, si dovette aspettare il 1820 per ottenere conferma del legame tra elettricità e magnetismo. Durante questi tredici anni anche i meccanicisti tentarono l'unificazione, ma all'interno di ipotesi interpretative ben diverse, vale a dire attraverso la riduzione di tutti i fenomeni all'azione di forze meccaniche a distanza tra molecole. A tal proposito divenne paradigmatica l'analogia con la legge di gravitazione universale, dal momento che la legge di Coulomb e quella per i poli magnetici erano in tutto formalmente uguali ad essa. Il programma meccanicista, così, riconduceva tutto all'ordinaria meccanica delle particelle e si poneva in aperto contrasto e in polemica con le concezioni di Oersted, ben poco rigorose.

Tuttavia la tenacia di Oersted non venne meno e nel 1820 egli ebbe a suo vantaggio il successo sperimentale del legame tra elettricità e magnetismo: si tratta del famoso esperimento della deflessione di un ago magnetico posto vicino a un filo percorso da elettricità galvanica. Quest'ultima, d'altra parte, non aveva ancora esauriente spiegazione (si dovette aspettare il contributo di Ampère), quindi l'esperimento, per Oersted, non fu altro che una significativa conferma delle sue teorie, sempre più osteggiate dai meccanicisti: galvanismo, elettricità statica e magnetismo erano manifestazioni di una profonda unità di tutte le forze e il concetto di propagazione ondulatoria assunse un ruolo chiave. La corrente del filo, infatti, fu interpretata come un flusso secondo due spirali di elettricità positiva e negativa in direzioni opposte. Nel caso di pila potente, la lentezza della propagazione dell'elettricità lungo il filo causava, secondo Oersted, una fuoriuscita dell'elettricità stessa in direzione laterale, manifestandosi come forza magnetica sull'ago esploratore. Tale spiegazione non trovò sostenitori, ma l'esperimento fu molto importante per gli sviluppi cui diede luogo grazie ai contributi di Biot, Ampère ecc...

Come conclusione si vuole riportare il seguente brano di San Tommaso d'Aquino, sconosciuto, ma importantissimo ai fini di una revisione critica dell'epistemologia moderna e contemporanea, impantanata purtroppo nelle contraddizioni teoretiche del kantismo:


«Nelle scienze assiomatiche il necessario si trova costituito a priori, come quando diciamo che se la definizione di angolo retto è tale, è necessario che il triangolo sia tale, ovvero che abbia tre angoli uguali a due retti. Da ciò infatti che viene prima e che viene assunto come principio, deriva necessariamente la conclusione (se la premessa è vera, è vera anche la conclusione, modus ponens, N.d.R.).

Ma da ciò non consegue l'inverso, ovvero, che se la conclusione è vera allora lo è anche il principio (fallacia del conseguente, N.d.R.). Poiché talvolta da premesse false può essere inferita una conclusione vera (l'implicazione materiale dei ragionamenti ipotetici, N.d.R.). Pur tuttavia resta il fatto che se la conclusione è falsa lo è necessariamente anche la premessa, poiché il falso non può essere inferito che dal falso (modus tollens, N.d.R.).

In quelle cose però che avvengono a causa di qualcosa, sia secondo la tecnica o secondo la natura, quell'inverso di cui sopra ne consegue: poiché, se lo stato finale è o sarà, è necessario che ciò che è prima dello stato finale o sia o sia stato. Se infatti ciò che è prima dello stato finale non è, neanche lo stato finale è: e questo è come nelle dimostrative, se non c'è la conclusione non vi sarà il principio.

In altre parole, è evidente che in ciò che avviene a causa di qualcosa, lo stato finale ha lo stesso ordine che nelle procedure dimostrative tiene il principio. E questo poiché in effetti anche il fine è un principio: non dell'azione, però, ma del ragionamento. Dal fine, infatti, cominciamo a ragionare delle cose che sono in relazione al fine (“procedura di formulazione della legge, mediante riadeguamento reciproco premessa/conclusione per costituire la loro convenientia reciproca e, dunque, la verità logica dell'implicazione4) e nelle procedure dimostrative non ci interessa dell'azione, ma del ragionamento, poiché nelle procedure dimostrative non vi sono azioni, ma solo ragionamenti. Quindi è conveniente che il fine nelle cose che accadono in relazione ad uno stato finale tenga il luogo del principio nelle conseguenti procedure dimostrative. Perciò la similitudine è da ambedue i lati, sebbene con un'inversione della relazione fra i due dal fatto che il fine è ultimo nell'azione, ciò che invece non è nella dimostrazione.»5

1Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti Editore, Milano 2004, pagg. 995 – 996.

2H. C. Oersted, Des forces électriques considérées comme des forces chimiques, J. Physique, 62 (1806), 369-375; cit. p. 370; cit. in L. P. Williams, Michael Faraday: a biography, (London, 1965), p. 138.

3Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti Editore, Milano 2004, pag. 764.

4G. Basti, Filosofia della natura e della scienza, Lateran University Press, Roma 2002, pag. 451

5S. Tommaso d'Aquino, In Phys., II, XV, 273