Danilo Saccoccioni






Gli accidenti nel


De ente et essentia”








Gli accidenti nella metafisica del De ente et essentia

E’ noto come lo scritto giovanile di Tommaso De ente et essentia tratta del modo in cui “l’essenza sia nelle sostanze e negli accidenti, e in che modo essa sia nelle sostanze composte e in quelle semplici, e come si trovino in ognuna di esse le intenzioni logiche universali”1. Pertanto, prima di addentrarci nell’analisi dell’ultima parte del testo in questione in cui Tommaso studia gli accidenti e il loro rapporto con le intenzioni logiche definizione, genere e differenza specifica, conviene in questo paragrafo precisare la struttura metafisica della realtà evidenziata nello stesso testo tomista e lo statuto ontologico assegnato espressamente agli accidenti.

La struttura del reale è ricostruita da Tommaso rispettando e seguendo “l’ordine della nostra conoscenza [che] procede da ciò che è composto [che è più noto per noi, nda] a ciò che è semplice [che è più noto per sé, nda]”2: questo criterio è utilizzato dal Dottore Angelico in tutta l’esposizione sistematica dell’opera, dal significato del termine “ente” a quello del termine “essenza”, dall’essenza delle sostanze composte di forma e materia all’essenza delle sostanze semplici prive di materia investite però dalla composizione in termini di essere ed essenza, fino a giungere all’Essere per essenza privo di ogni composizione e fondamento di tutta la realtà.

Tommaso così inquadra la metafisica della sostanza di origine aristotelica in una più completa e coerente metafisica dell’essere come atto, che gli permette di risolvere le aporie legate intrinsecamente a un residuo di dualismo presente ancora nella teoria aristotelica. Si vedrà, infatti, nei paragrafi successivi, che questa evoluzione del pensiero di Tommaso rispetto a quello del Filosofo porta beneficio anche nella sistemazione ontologica e logica degli accidenti.

Nella presente esposizione procediamo con ordine senza seguire la disposizione che va dal più noto per noi al più noto per sé, ma l’ordine opposto: infatti il nostro scopo, in questo paragrafo, non è come quello di Tommaso di fare uno studio speculativo, ma solo di riportare i risultati di tale indagine al fine di inquadrare una terminologia che permetta di comprendere successivamente lo statuto ontologico degli accidenti.

Preliminarmente, però, consideriamo i termini fondamentali “ente”, “essere” ed “essenza”. Per “ente” Tommaso intende l’accezione reale di “quod diuiditur per decem genera3. Si noti che Tommaso esclude espressamente in questa accezione il significato logico di considerare l’ente come “quod significat propositionum ueritatem4: da questo secondo senso, infatti, non è possibile ricavare un significato per il termine “essenza”. Dunque il testo tomista si apre con una chiara e decisa affermazione del realismo metafisico, tra l’altro l’unico capace di fondare coerentemente la predicazione logica. L’ente concreto e reale è il primo e massimamente noto per l’intelletto.

Essentia dicitur quod per eam et in ea ens habet esse5. Pertanto l’essenza è fin da questo scritto giovanile il principio che negli enti creati entra in composizione con l’essere e per mezzo di cui l’ente è tale quale è. Dunque l’ente è ed è tale: siamo nell’ambito della partecipazione ontologica che sarà ampiamente sviluppata in molti testi di Tommaso, ma che fin da questo scritto gli permette di impostare in modo corretto il principio, o meglio il teorema metafisico della creazione: il rapporto specialissimo ed unico degli enti composti (di essere ed essenza) con l’Essere la cui essenza è l’Essere stesso. Nel De ente Tommaso non tratta esplicitamente dell’analogia di attribuzione che permette di parlare correttamente del suddetto rapporto di creazione, ma in pratica tutto lo scritto è pervaso in qualche modo dalla attribuzione e dalla proporzionalità propria, dal rapporto degli enti con Dio fino, come vedremo, al rapporto degli accidenti con la sostanza cui ineriscono, dove, precisando fin da ora, il termine “sostanza” è strettamente correlato al termine “ente”: “ens absolute et primo dicitur de substantiis6; trattasi della nota sostanza prima, concetto di origine aristotelica.

Al di sotto di Dio, nella gerarchia del reale, troviamo le sostanze separate, gli angeli, la cui essenza è semplice ma entra pur sempre in composizione con l’essere: in effetti l’Essere divino è impartecipabile e dunque anche nelle sostanze separate vi è una composizione.

Scendendo ancora nella gerarchia, troviamo le sostanze composte, in cui l’essenza entra chiaramente in composizione con l’essere, ma dove l’essenza stessa è composta di materia e di forma; la materia è principio di corruttibilità del composto e la forma è ciò che dà l’essere alla materia nell’ordine della causalità formale, non efficiente.

Finalmente, all’ultimo grado della gerarchia ontologica, troviamo gli accidenti. “Ens per posterius et quasi secundum quid dicitur de accidentibus7, pertanto, mentre l’essenza si trova propriamente e veramente nelle sostanze, negli accidenti si trova “quodammodo et secundum quid8. In queste citazioni è palese l’analogia dell’ente in Tommaso, ma, come si diceva, tale analogia viene elaborata in una visione dell’essere come atto e pertanto viene meglio sistematizzato non solo lo statuto ontologico degli accidenti, ma anche la loro predicazione logica: “Quia essentia est id quod per diffinitionem significatur, oportet ut eo modo habeant essentiam quo habent diffinitionem. Diffinitionem autem habent incompletam, quia non possunt diffiniri nisi ponatur subiectum in eorum diffinitione; et hoc ideo est quia non habent esse per se absolutum a subiecto, sed sicut ex forma et materia relinquitur esse substantiale quando componuntur, ita ex accidente et subiecto relinquitur esse accidentale quando accidens subiecto aduenit9.



L’essenza degli accidenti

Dunque, per Tommaso, essendo l’essenza ciò che viene espresso attraverso la definizione, gli accidenti possiederanno una essenza così come possiedono una definizione. Ma quest’ultima è per loro incompleta, poiché la loro definizione comprende necessariamente il soggetto, non avendo un essere per sé indipendente dal soggetto stesso: agli accidenti non è concessa la tipica inseità della sostanza, proprietà che ontologicamente la caratterizza, ma il loro essere è in altro, inerisce appunto alla sostanza. Per comprendere l’unione accidente-sostanza che dà origine all’essere accidentale, Tommaso fa il paragone con l’unione forma-materia che va a costituire le sostanze composte (essere sostanziale): in entrambi i casi né gli accidenti, né la materia, né la forma possiedono un essenza completa: occorre in ogni caso porre ciò di cui è accidente o materia o forma, ponendo sempre qualcosa di esterno al loro genere. Tuttavia il paragone non è in tutto conforme: infatti “come la forma sostanziale non possiede per sé un essere indipendente senza ciò a cui sopravviene, così è anche per ciò a cui s’aggiunge, e cioè per la materia”10, invece nel caso dell’accidente che sopravviene alla sostanza, l’accidente si unisce a qualcosa che è già un ente completo, a differenza della materia; nel primo caso l’unione forma-materia è pertanto un’unione essenziale, cioè “dalla loro congiunzione risulta una qualche essenza”11, mentre nel secondo caso trattasi appunto di un’unione soltanto accidentale che “causat quoddam esse secundum sine quo res subsistens intelligi potest esse12. “Per questo l’accidente né possiede il modo di essere dell’essenza completa né è parte dell’essenza completa, ma così come è ente in senso relativo, così possiede un’essenza in senso relativo”13.

Dopo queste dichiarazioni, Tommaso passa a classificare gli accidenti in base alla loro origine. Viene innanzitutto richiamato il noto principio aristotelico (che Tommaso applicherà anche alla quarta via per dimostrare l’esistenza di Dio nella Summa Theologiae) in base al quale “ciò che viene detto in massimo grado e con assoluta verità in qualsiasi genere è causa di tutto ciò che segue in quello stesso genere”14; tale principio, poi, viene applicato alla sostanza “che è principio nel genere dell’ente e possiede l’essenza nel modo più pieno e certo [ed è quindi] causa degli accidenti che partecipano del modo di essere dell’ente in modo secondario e quasi relativo”15. Conviene notare che l’applicazione che Tommaso fa di questo principio aristotelico è nell’ordine trascendentale, non logico: cioè il termine “genere” del suddetto principio non va inteso nel senso del genere della predicazione logica, ma nel senso delle perfezioni trascendentali dell’essere; in questa sede si vuole far notare come l’utilizzo di questo principio non è che un modo semplificato di applicazione dell’analogia dell’essere.

Poiché la sostanza, dunque, attua in qualche modo gli accidenti ed è composta di forma e materia, alcuni accidenti seguiranno principalmente la forma e altri la materia. La differenza tra questi, però, è nel fatto che, poiché si danno forme non materiali (ad esempio gli angeli o l’anima intellettiva), ma mai materia non attuata da alcuna forma, alcuni accidenti che seguono la forma possono essere del tutto indipendenti dalla materia, mentre non è possibile che accidenti che seguano principalmente la materia siano del tutto indipendenti dalla forma. Nella prima classe rientra ad esempio il pensare.

Per quanto riguarda gli accidenti che seguono la materia si presentano delle diversità: alcuni seguono la materia in quanto ordinata alla forma specifica, altri in quanto ordinata alla forma di un genere. Tommaso porta gli esempi del maschile e femminile per il primo caso e del nero della pelle nell’Etiope per il secondo; caso, quest’ultimo, in cui il venir meno della forma specifica (ad esempio con la morte dell’individuo) non altera l’accidente.

Una importante osservazione che fa poi Tommaso riguarda l’individuazione dei singolari per mezzo della materia: tale proprietà della materia determina il fatto per cui gli accidenti che la seguono sono accidenti dell’individuo, cosicché in base ad essi si diversificano gli individui della stessa specie; “gli accidenti che seguono la forma sono invece proprietà o del genere o della specie, per cui si ritrovano in tutti coloro che partecipano della natura del genere o della specie”16. Queste osservazioni sono particolarmente importanti nelle scienze sperimentali che astraggono per universalizzazione leggi da comportamenti di realtà individuali. Anche la distinzione di elementi invisibili all’occhio umano, effettuata mediante strumentazione di misura, è possibile attraverso l’individuazione di opportuni stati accidentali di quegli elementi. Si può dire che lo statuto di ogni disciplina sperimentale ha queste caratteristiche; d’altra parte ognuna di queste discipline, per essere adeguatamente fondata, ha chiaramente bisogno di presupporre le nozioni metafisiche di ente (altrimenti non si potrebbe parlare di nulla), di sostanza (fondamento, appunto, dell’oggetto materiale della disciplina) e di accidenti (fondamento dell’oggetto formale della disciplina).. Ad esempio nella etologia l’oggetto materiale sono animali e piante (il presupposto metafisico è dunque la sostanza), l’oggetto formale i loro comportamenti e le loro abitudini che metafisicamente riguardano alcuni tipici accidenti che seguono le specie e i generi. Invece, in fisica, un rivelatore di particelle è in grado di cogliere, ad esempio, la posizione di una particella dopo una collisione: la posizione è un tipico accidente individuale che segue dunque la materia secondo la trattazione di Tommaso che abbiamo commentato.

Altra precisazione di Tommaso riguarda la produzione degli accidenti dai principi essenziali secondo due modalità: con un “atto perfetto” (per es. il calore nel fuoco che è sempre caldo), oppure secondo attitudine; in quest’ultimo caso è necessario un “complemento” proveniente da un agente esterno, e Tommaso fa l’esempio della trasparenza dell’aria la quale, per poter essere dichiarata trasparente, necessita della presenza di una fonte luminosa esterna.

Abbiamo detto all’inizio che nel De ente Tommaso analizza quale rapporto intercorra tra l’essenza e le intenzioni logiche. Sappiamo che l’essenza in senso metafisico è il fondamento della predicazione, ma ora dobbiamo occuparci di applicare questo principio agli accidenti e al modo in cui in essi genere, differenza e specie si ricavano, modo che Tommaso precisa essere diverso rispetto alle sostanze. Infatti la composizione di forma e materia nelle sostanze composte dà origine a un qualcosa di unitario per sé in modo tale che “i nomi concreti che indicano il composto si dicono propriamente essere nel loro predicamento come generi o specie, così come uomo o animale”17, sebbene forma e materia da sole non siano nella categoria della sostanza. Tuttavia nell’unione accidenti-sostanza l’essere che risulta non è un qualcosa di unitario per sé, così “dalla loro congiunzione non risulta una qualche natura a cui si possa attribuire l’intenzione di genere o specie. Per questo i nomi degli accidenti, presi in modo concreto, non si pongono in una categoria come generi o specie, come bianco o musico (se non per riduzione) ma solo se presi in senso astratto, come la bianchezza o la musica”18. Inoltre Tommaso afferma che, poiché gli accidenti non si compongono di materia e forma, il criterio di ricavare il genere dalla materia e la differenza dalla forma non può valere per gli accidenti come invece vale per le sostanze composte19. Così il genere è “ricavato dai modi di essere in cui ogni ente può essere predicato secondo le varie categorie (per cui qualcosa è quantità se è misura della sostanza, qualità se è disposizione della sostanza, e così via)”20. Le differenze, invece, vengono ricavate dai principi dai quali sono causati i relativi accidenti. Tuttavia qui Tommaso fa una distinzione: i nomi degli accidenti presi in senso astratto si collocano propriamente in un genere (come visto) e “il soggetto si pone nella loro definizione al posto della differenza”21; invece i nomi degli accidenti presi in senso concreto non si collocano propriamente in un genere per loro natura, ma, ripresentando la stessa situazione relativa alle sostanze composte, il soggetto viene posto nella loro definizione come genere. L’esempio di Tommaso per il primo caso è la definizione di “camusità” come curvità del naso (si vede che “naso”, che è il soggetto, entra nella definizione come differenza), mentre l’esempio per il secondo caso è la definizione di “camuso” come naso curvo (e qui “naso” funge da genere). Nel secondo caso Tommaso fa anche rientrare gli accidenti che derivano da altri accidenti, come la relazione deriva dal concorso di azione, passione e quantità. Un’ulteriore situazione considerata, poi, è quella che si presenta quando non si conoscono i principi propri degli accidenti, cosicché le differenze devono essere ricavate dai loro effetti. L’autore qui fa l’esempio delle differenze di densità “che vengono prodotte dall’abbondanza e scarsezza di luce da cui sono prodotte anche le diverse specie di colore”, cosicché dalle differenze di quest’ultime sono ricavate le prime. Ancora una volta qui si nota l’applicabilità universale di questo principio ad ogni scienza sperimentale, dove spesso si ha a che fare con fenomeni o grandezze derivati.

Per concludere, si vuole ribadire l’attenzione costante di Tommaso per la fondazione metafisica di una corretta epistemologia: “nelle cose sensibili anche le stesse differenze essenziali ci sono ignote, per cui vengono indicate attraverso le differenze accidentali che traggono origine da quelle essenziali, così come la causa viene indicata per tramite del suo effetto22. Una attenta lettura del De ente, pertanto, permetterebbe una correzione dalle deviazioni razionalistiche moderne non solo della metafisica, ma della stessa fondazione delle scienze moderne nelle quali gli accidenti svolgono un ruolo fondamentale.

1Tommaso d’Aquino, L’ente e l’essenza, Bompiani Testi a fronte, a cura di Pasquale Porro, Milano, 2002, p.135

2L’ente e l’essenza, op. cit., p.9

3L’ente e l’essenza, op. cit., p.76

4L’ente e l’essenza, op. cit., p.76

5L’ente e l’essenza, op. cit., p.80

6L’ente e l’essenza, op. cit., p.80

7L’ente e l’essenza, op. cit., p.80

8L’ente e l’essenza, op. cit., p.80

9L’ente e l’essenza, op. cit., p.126

10L’ente e l’essenza, op. cit., p.127

11L’ente e l’essenza, op. cit., p.129

12L’ente e l’essenza, op. cit., p.128

13L’ente e l’essenza, op. cit., p.129

14L’ente e l’essenza, op. cit., p.129;

cfr. Aristotele, Metaph., II, 2, 993 b 24

15L’ente e l’essenza, op. cit., p.129

16L’ente e l’essenza, op. cit., p.131

17L’ente e l’essenza, op. cit., p.133

18L’ente e l’essenza, op. cit., p.133

19cfr. L’ente e l’essenza, op. cit., §§ 2 e 3

20L’ente e l’essenza, op. cit., p.36

21L’ente e l’essenza, op. cit., p.135

22L’ente e l’essenza, op. cit., p.123