Danilo Saccoccioni






L’esistenza e gli attributi di Dio


nel “De ente et essentia”


























Introduzione

Lo scopo del presente lavoro è di rilevare la valenza teoretica e di conseguenza l’importanza della dimostrazione dell’esistenza di Dio che si trova nella giovanile opera di Tommaso d’Aquino De ente et essentia. E’ noto come tale scritto tratti del modo in cui “l’essenza sia nelle sostanze e negli accidenti, e in che modo essa sia nelle sostanze composte e in quelle semplici, e come si trovino in ognuna di esse le intenzioni logiche universali”1: dunque lo scopo primario dell’autore non è quello di realizzare un trattato di metafisica, quanto piuttosto di proporre un lavoro sul lessico “che come tale chiama direttamente in causa il problema della connessione tra l’ordine logico-linguistico e quello reale”2. Tuttavia è chiaro che, proprio per soddisfare tale intento, l’autore sia necessariamente condotto a proporre una struttura metafisica alla realtà. Poiché, inoltre, la metafisica di Tommaso è realista, non poteva mancare, nel suo breve scritto, la trattazione dell’esistenza di Dio e del suo rapporto con gli enti creati.


La metafisica del De ente et essentia

All’esistenza di Dio Tommaso giunge rispettando “l’ordine della nostra conoscenza [che] procede da ciò che è composto [che è più noto per noi, nda] a ciò che è semplice [che è più noto per sé, nda]”3. E’ noto come il realismo del Dottore Angelico parta dalla constatazione immediata ed evidente dell’ente concreto: l’opera comincia dunque con la precisazione terminologica di “ente” ed “essenza”, operazione che Tommaso ritiene indispensabile allo scopo di evitare grossolani errori eventualmente destinati a propagarsi nello sviluppo teoretico e nella interpretazione dei testi.

Viene precisato che il termine “ente” presenta due accezioni, una è quella logica in base alla quale ente è “quod significat propositionum ueritatem4, l’altra è quella per cui ente è “quod diuiditur per decem genera5. Quest’ultima, poi, è tale per cui “non potest dici ens nisi quod aliquid in re ponit6 e solo a partire da essa si ricava propriamente l’essenza. Dunque, come si diceva, il testo prende subito posizione in modo deciso per il realismo metafisico e proprio queste prime battute costituiscono il punto di forza della posizione tomista rispetto al soggettivismo e all’idealismo moderni.

Essentia dicitur quod per eam et in ea ens habet esse7. Questa breve ma densissima definizione imposta correttamente, da un punto di vista teoretico, il problema di stabilire quali principi metafisici debbano costituire l’ente finito, principi la cui composizione è analizzata da Tommaso in numerosissime sue opere. L’esperienza dell’uomo, che trova innanzi a sé una molteplicità di cose, insieme alle esigenze stringenti del principio di non contraddizione impongono di considerare (pena, appunto, la contraddizione) due principi costitutivi di ogni ente finito:

E’ fondamentale ai nostri fini precisare il tipo di rapporto che sussiste tra essere ed essenza nella loro composizione a costituire l’ente finito9. Innanzitutto l’esperienza della molteplicità rende evidente che “al medesimo ente convengono due qualificazioni, che sono in sé opposte: l’ente è interamente uno e interamente diverso; resta quindi da chiarire come queste due qualificazioni siano indissociabili, al punto che l’ente è perfettamente uno in forza di questa indissociabilità e si annulla senza questa indissociabilità”10. Ebbene, l’unica soluzione possibile è che queste due qualificazioni si riferiscano a due elementi realmente distinti ma uniti a costituire l’ente uno. Con una terminologia scolastica diremo che l’ente è “principium quod”, mentre ciascuno dei due principi costitutivi essere ed essenza è un “principium quo”. Dunque questi due principi non sono due parti dell’ente ma sono integralmente correlativi, cioè nell’ente finito l’uno presuppone l’altro e l’uno è relativo all’altro, proprio in virtù della finitudine dell’ente: ente finito equivale a ente composto.

E’ necessario anche precisare il senso in cui Tommaso attribuisce all’essenza, nella sua metafisica dell’atto, il ruolo della potenza rispetto all’essere. Nel De ente questo rapporto è esplicitato a proposito delle intelligenze separate, ma in realtà vale per ogni ente finito: “Omne autem quod recipit aliquid ab alio est in potentia respectu illius, et hoc quod receptum est in eo est actus eius; ergo oportet quod ipsa quiditas uel forma que est intelligentia sit in potentia respectu esse […], et illud esse receptum est per modum actus11.


L’esistenza e gli attributi di Dio

La dimostrazione di Tommaso nel De ente è propriamente metafisica e richiede l’uso dei concetti visti nel paragrafo precedente. Altri scritti di Tommaso riprendono la dimostrazione metafisica, anche se spesso vengono evidenziati solo alcuni aspetti comunque sufficienti da un punto di vista teoretico: per esempio le celebri cinque vie della Summa Theologiae utilizzano procedimenti metafisici che evidenziano aspetti complementari per parlare correttamente di Dio, in particolare il movimento, la causalità, la contingenza, i gradi di perfezione e il finalismo. Tutte queste vie, comunque, in qualche modo utilizzano come momento decisivo della prova il principio di causa, necessario ad ogni via metafisica per giungere a Dio; infatti la struttura metafisica di ogni prova che presuma di essere valida deve tenere conto di due presupposti12:

I moderni non hanno saputo ritenere questi due presupposti, dando origine a un relativismo speculativo e sociale.

Nel De ente Tommaso parte dall’osservazione che neppure le sostanze separate godono di perfetta semplicità e non sono atti puri, essendo in qualche modo commiste alla potenza: infatti “ogni cosa che non fa parte del concetto dell’essenza o della quiddità, si aggiunge in qualche maniera dall’esterno e entra in composizione con l’essenza, poiché nessuna essenza può essere realmente concepita senza ciò che fa parte di essa. Ogni essenza o quiddità può tuttavia essere concepita senza che qualche cosa sia pensato del suo essere […]. E’ chiaro dunque che l’essere è diverso dall’essenza o quiddità. A meno che non si dia qualcosa la cui quiddità sia il suo stesso essere”13. Qui Tommaso fa la sua prima dichiarazione sulla radicale diversità ontologica tra gli enti in cui essere ed essenza sono principi distinti, e l’eventuale Essere “la cui quiddità sia il suo stesso essere”. In quest’ultimo caso essere ed essenza non si concepiscono come distinti ontologicamente e dunque neppure l’essenza può essere concepita senza “che qualcosa sia pensato del suo essere”.

Il passo successivo di Tommaso è dimostrare che questo Essere, se esiste, deve essere unico. Si badi che Tommaso fa precedere la dimostrazione dell’unicità a quella dell’esistenza, cosa che non avviene negli stessi termini nelle cinque vie, dove la tecnica di dimostrazione racchiude esistenza e unicità in un solo passaggio: ad esempio, nella prima via, l’esistenza del Primo Motore racchiude in sé la sua primarietà rispetto agli altri motori. Nel De ente l’unicità è dimostrata esplicitando quali sono le condizioni cui la plurificazione di qualsiasi cosa deve sottostare; dice il Dottore Angelico: “è impossibile che si dia plurificazione di qualcosa, se non per l’aggiunta di qualche differenza (così come la natura del genere si moltiplica nelle specie), o perché la forma viene ricevuta in materie diverse (così come la natura della specie si moltiplica nei diversi individui), o perché una cosa è assoluta e l’altra è ricevuta in qualcosa (così come, se esistesse un calore separato, sarebbe diverso dal calore non separato, a causa della sua stessa natura non separata)”14. In realtà è facile vedere che le tre condizioni sono definitivamente riconducibili, dal punto di vista metafisico, al fatto che è proprio l’essenza “il principio di limitazione che fa di un ente questo ente e non un altro”15 e che l’essenza è principio di potenzialità. Comunque sia, Tommaso dichiara che se “si pone qualche cosa che è soltanto essere […], tale essere non potrà ricevere l’aggiunta di una differenza perché già così non sarebbe più soltanto essere, ma essere più una data forma; e ancor meno potrà ricevere l’aggiunta di una materia, perché in tal caso non sarebbe più essere sussistente, ma materiale”16. Dunque tale cosa può solo essere unica.

Finalmente si arriva nel testo a dimostrare l’esistenza di Dio; la dimostrazione parte dalla osservazione che la causa di ciò che conviene a qualcosa (si parla di enti composti di essere ed essenza) sono i principi della sua stessa natura, oppure qualche principio estrinseco. Si osserva, poi, che l’essere della cosa stessa non può essere prodotto (nel senso della causalità efficiente) dalla sua forma o quiddità, altrimenti si avrebbe l’assurdo per cui qualcosa sarebbe causa di se stessa. In tal modo Tommaso dimostra il noto principio scolastico per cui “ciò che è composto è causato”. “E poiché tutto ciò che è in virtù di altro può essere ricondotto a ciò che è per sé come alla causa prima, occorre che vi sia una cosa che sia causa dell’essere di tutte le altre, per il fatto che è soltanto essere: in caso contrario si andrebbe all’infinito nelle cause, dal momento che, come si è detto, ogni cosa che non è soltanto essere possiede una causa del suo essere”17. Si noti che il “per sé” della precedente citazione riguarda, in termini scolastici, le cause cosiddette “essenzialmente ordinate” in contrapposizione alle cause “accidentalmente ordinate”: per le prime, come argomenta Tommaso, non vi può essere regresso all’infinito, pena la contraddizione; per le seconde, come in altri testi argomenta Tommaso, è possibile un regresso all’infinito a patto che tali cause siano a loro volta dipendenti causalmente da quelle essenzialmente ordinate18.

Dunque Dio esiste, è unico e il suo nome più appropriato è “Ipsum Esse Subsistens19; l’impostazione tomista ha il fondamentale pregio di rispettare, inoltre, i diversi gradi di perfezione trascendentale che troviamo nelle cose della natura, ad esempio dai non viventi ai viventi, infine all’uomo. Questo permette all’Aquinate di evitare di cadere in qualunque forma di spinozismo, hegelismo e più in generale in qualunque sistema di struttura neo-parmenidea: tale è stato l’errore moderno dovuto all’abbandono del realismo classico a partire dal noto “dubbio metodico” cartesiano: qualunque razionalismo non è e non potrà mai essere in grado fondare l’esistenza dell’ente reale e delle sue perfezioni trascendentali: ogni tentativo razionalista cade necessariamente nell’errore dell’univocità dell’ente e conduce qualunque scienza (perfino le scienze sperimentali) verso tutti quei paradossi sollevati in epoca contemporanea dal cosiddetto “problema della referenza” (vedi Quine, Popper, ecc…). Non così per Tommaso, agguerrito contro questa impostazione di antica origine filosofica da cui, una volta imboccatane la strada, è difficile districarsi: “Nec oportet, si dicimus quod Deus est esse tantum, ut in illorum errorem incidamus qui Deum dixerunt esse illud esse uniuersale quo quelibet res formaliter est20; così Tommaso giudica la posizione di panteismo formale professata ai suoi tempi da David di Dinant e Amalrico di Bène: “Hoc enim esse quod Deus est huiusmodi condicionis est ut nulla sibi additio fieri possit, unde per ipsam suam puritatem est esse distinctum ab omni esse. […]. Esse autem comune sicut in intellectu suo non includit aliquam additionem, ita non includit in intellectu suo precisionem additionis; quia, si hoc esset, nichil posset intelligi esse in quo super esse aliquid adderetur21. Nella Summa contra Gentiles Tommaso spiega ancora meglio questo importantissimo passaggio, che avrebbero dovuto tener presente i moderni: “Poiché infatti ciò che è comune viene collocato in una specie o individuato per un’aggiunta, ritennero che l’Essere Divino, a cui non può aggiungersi nulla, non fosse qualche essere proprio, ma l’essere comune di tutte le cose, senza tener conto del fatto che ciò che è comune o universale non può esistere senza un’aggiunta, ma può essere considerato senza aggiunta: non può infatti esistere l’animale senza la differenza “razionale”, per quanto possa essere pensato senza queste differenze. Si può infatti pensare l’universale senza aggiunta, ma non senza la possibilità di ricevere aggiunte: se infatti ad animale non potesse aggiungersi nulla, non potrebbe essere genere, e così per tutti gli altri nomi. L’Essere Divino è invece senza aggiunta non solo nella considerazione, ma anche nella realtà, né soltanto è senza aggiunta, ma anche senza la possibilità di ricevere aggiunte. Perciò, dal fatto che non riceve e non può ricevere aggiunte, si può concludere piuttosto che Dio non è l’essere comune, ma essere proprio, e il suo essere si distingue da tutti gli altri proprio per il fatto che nulla può aggiungervisi”22.

Dunque Dio non è in un genere, come precisa l’Aquinate nel De ente, per tutte le considerazioni precedenti. Tuttavia, essendo la pienezza assoluta dell’Essere, certamente “possiede tutte le perfezioni che sono in tutti i generi, tanto da essere chiamato perfetto in senso assoluto, […], ma le possiede in modo più eccellente rispetto a tutte le altre cose, perché in Lui formano un’unità, mentre nelle altre cose rimangono distinte tra loro. E ciò perché tutte quelle perfezioni convengono a Dio secondo il suo essere semplice; e come chi fosse in grado di compiere attraverso una sola qualità le operazioni di ogni altra qualità, racchiuderebbe in quella sola qualità tutte le altre, così Dio racchiude nel suo stesso essere tutte le perfezioni”23.

Queste ultime affermazioni di Tommaso costituiscono il fondamento metafisico per una corretta teologia filosofica sui Nomi Divini che chiarisca gli attributi di Dio e il rapporto Dio - enti creati per mezzo dell’analogia di attribu-zione e dell’analogia di proporzionalità, ma una trattazione di questo tipo esula dalle stesse finalità del De ente.


Conclusione

Abbiamo così concluso la nostra analisi sul procedimento adoperato da Tommaso d’Aquino a proposito dell’esistenza e degli attributi di Dio nell’opuscolo filosofico De ente et essentia. Dall’indagine svolta emergono due questioni fondamentali, la prima di carattere teoretico e la seconda di carattere socio-culturale:

  1. Struttura dell’argomentazione tommasiana: Tommaso parte dall’evidenza degli enti reali per precisare la necessità della distinzione essere-essenza in essi da cui ipotizzare la possibilità dell’esistenza dell’Essere per essenza. In un secondo momento Tommaso dimostra dapprima l’unicità e poi l’esistenza effettiva di un tale Essere, necessario fondamento di tutto il reale e delle sue perfezioni trascendentali, incausato, sommamente perfetto e assolutamente semplice.

  2. Critica al panteismo formalista: Tommaso critica le posizioni neo-parmenidee della sua epoca che acquisteranno attraverso nuovi sviluppi tutta la loro forza enfatica nella modernità, soprattutto grazie all’indebolimento del pensiero a partire dal razionalismo cartesiano con l’abbandono dell’evidenza dell’ente reale da cui non a caso Tommaso parte. L’esito di tali sviluppi, come è noto, ha condotto, tra l’altro, a posizioni fideistiche in ambito religioso e ad etiche prive del giusto fondamento metafisico relativamente al bene come trascendentale.

1 Tommaso d’Aquino, L’ente e l’essenza, Bompiani Testi a fronte, a cura di Pasquale Porro, Milano, 2002, p.135

2 L’ente e l’essenza, op. cit., p.7

3 L’ente e l’essenza, op. cit., p.9

4 L’ente e l’essenza, op. cit., p.76

5 L’ente e l’essenza, op. cit., p.76

6 L’ente e l’essenza, op. cit., p.78

7 L’ente e l’essenza, op. cit., p.80

8 cfr. Aniceto Molinaro, Metafisica – Corso sistematico, Edizioni San Paolo, Milano 1994, pagg.129-130

9 Si rammenti, a tal proposito, la definizione citata nella pagina precedente: “Essentia dicitur quod per eam et in ea ens habet esse

10 Metafisica – Corso sistematico, op. cit., pag.151

11 L’ente e l’essenza, op. cit., p.114

12 cfr. G.Bontadini, Metafisica e deellenizzazione, Vita e Pensiero, Milano 1975, pagg. 3-34

13 L’ente e l’essenza, op. cit., p.113

14 L’ente e l’essenza, op. cit., p.113

15 Mario Pangallo, Il Creatore del mondo, Casa Ed. Leonardo da Vinci, S.Marinella (Rm) 2004, pag.95

16 L’ente e l’essenza, op. cit., pp.113 e 115

17 L’ente e l’essenza, op. cit., p.115

18 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q.46, a.2, ad 7

19 Il Creatore del mondo, op. cit., pagg. 220-223

20 L’ente e l’essenza, op. cit., p.118

21 L’ente e l’essenza, op. cit., p.118

22 Tommaso d’Aquino, Summa contra Getiles, I, c.26

23 L’ente e l’essenza, op. cit., p.121